tributo a Edward Bunker
Il 19 Luglio è morto un genio.
Quanta gente se n'è accorta? Gli appassionati lettori dei suoi libri hanno sicuramente risfogliato in questi giorni almeno uno dei suoi capolavori per ricordare, qualora ce ne fosse bisogno, lo stile e le vere storie di sopravvivenza criminale di cui è stato testimone o di cui cmq ha sentito parlare dai suoi "attori". Chi ama i noir, i crime-novel/crime-movie, l'hard boiled... non può non conoscerlo.
Edward Bunker aveva 71 anni. Non sto di certo qui a scrivere in poche battute la sua storia personale, basta leggere alcune sue dichiarazioni per capire che era un detenuto intellettuale, uno che ha passato molti anni in carcere e che ha scelto di salvarsi scrivendo storie che sono la realtà dei fatti accaduti. Una rarità. E tutto questo grazie anche a un quoziente intellettivo sopra la media.
Venerato da due grandi, James Ellroy e Quentin Tarantino che gli affidò la parte di Mr Blue in "Le Iene", ha sempre scritto storie di criminali viste dal punto di vista criminale, analizzando in tutte le sue sfaccettature il sistema penitenziario americano. Il grande romanzo che me l'ha fatto conoscere è "Come una bestia feroce" e non posso non assicurare che ciò che dice Ellroy del protagonista è assolutamente vero: "non uscirete intatti dal vostro incontro con Max Dembo".
(il sottotitolo del blog è una citazione da pag. 129)
Da St. Quentin a Quentin Tarantino
Intervista da I Miserabili
Sympathy for Mr Vengeance
Una vecchia vhs registrata da Raisat CinemaWorld: le immagini non sono molto limpide e forse anche il doppiaggio italiano va a danneggiare il tutto (per due parole che gli attori pronunciano... non so). È uscito il dvd da poco, ma quella cassetta era lì a prender polvere e finalmente ho avuto tempo per vederla con calma.
Da questo film non mi aspettavo nient'altro che la conferma dello stile di un regista da tenere d'occhio. Old Boy mi ha piacevolmente sorpreso, ma questo primo capitolo sulla vendetta coreana mi lascia con un certo amaro in bocca. Prima di tutto non possiede il ritmo del secondo capitolo. La lentezza delle immagini non è estenuante, non annoia come avrebbe potuto, costruisce invece una (sur)realtà arida di umanità e compassione, la comprensione della natura umana passa per qualcosa di viscerale. Non mi sembra che nei personaggi di Park si perda o si ottenga qualcosa: lui come Kim Ki-Duk sembra che stia lì a squamare un pesce (o qualsiasi altro animale) per poi rigettarlo nel mare. Si prende, si toglie e si restituisce. L'immagine presa di sana pianta da The Isle dell'altro coreano, credo sia essenziale per capire che tipo di cinematografia si ha di fronte vedendo questo e altri film dello stesso ceppo. Che poi ci siano delle differenze tra i due registi è ovvio, ma non mi va di dire a pensare nient'altro adesso.
Questo "Sympathy for Mr Vengeance" è davvero scarno. Ciò che credo sia un difetto è proprio la lentezza: avrei preferito un ritmo un pò più rapido, nulla di più. La prima parte (gradualmente fino alla morte della bambina) è quella più ricca di idee e di ironia: nella scena della pianificazione del rapimento, in quella tragicomica del suicidio di un dipendente della fabbrica, e quella magistrale della morte della sorella. Quest'ultima sequenza è senza dubbio la migliore del film. Il protagonista sordomuto e la bambina creano un'atmosfera allegra fino a quando quest'ultima non gli passa un bigliettino scritto dalla sorella: in un attimo il suono off dell'acqua che scorre diventa subito inquietante. L'urlo sordo dela protagonista è qualcosa di allucinante. Da aggiungere a questa anche la scena successiva del seppellimento: il gesto del disabile ha molto di realmente cinico e ironico. Anche questa è magistrale. (incredibile anche il modo in cui il regista fa salire le scale al protagonista quando va a vendere il proprio rene).
Tutta la seconda parte rallenta ancora di più. Torture su torture, vendetta atroce e cane-mangia-cane. Delineato benissimo il protagonista sordomuto nella prima parte, qui si lascia il posto al padre, e su questa figura ci sarebbe da aprire tutto un capitolo su come agisce la vendetta.
Essa agisce nella forma della mutilazione: non si presta, non si vende, non si distrugge niente, ma si mette in scena un meccanismo tendenzialmente infinito in cui qualcuno toglie e prende dall'altro qualcosa.
Il protagonista più che sordomuto, è mutilato nella voce, gli è stata tolta probabilmente dal regista, dal mondo reale ancor prima che la storia inizi, forse dallo spettatore che gode (il concetto di "simpatia" qui si carica di molti più significati di quanti se ne conoscano) nel vederlo senza possibilità alcuna. È cmq certo che il film mette in moto uno scarno meccanismo di asportazione infinita: il mutilato cerca di aiutare la sorella ma viene ancor più privato del suo corpo con l'asportazione del rene; il destino gli toglierà l'unico affetto (il suicidio della sorella, la morte più pesante del film); la bambina morirà a causa dell' ormai impossibile legame tra lui e il mondo (esso lo divora costruendo attorno a lui ancora più silenzio); in ultimo viene cannibalizzato dal padre della bambina che non prova alcuna simpatia positiva verso il ragazzo annullando anche se stesso; il gioco di matrioske non è concluso finchè lo stesso padre non viene ucciso dai terroristi, vero e proprio deus ex machina (non forzato) per far concludere la storia.
Non c'è soluzione/giudizio positivo. E infatti sin dall'inizio la storia dei due fratelli come quella dei due amanti e quella del padre e della figlia alle quali è collegata, pare già decisa. La voce della giornalista racconta la loro storia, e il fatto stesso di essere già raccontata e diffusa la rende condannata ad un vicolo cieco (su questa voce iniziale ci sarebbe molto da dire).
La vendetta #1 si presenta inflessibile nella dose surrealistica di tagli, mutilazioni e asportazioni, ma si presenta anche in modo lento e tutt'altro che fredda (come invece vorrebbe essere servita in occidente). Il concetto di vendetta del titolo si carica di significati e valori che gli danno sfaccettature tutt'altro che banali. Di certo non possiamo considerarlo un sentimento nell'accezione positiva; è invece negativo perchè proviene da persone che non manifestano altre caratteristiche umane prevalenti. Nel film c'è un pessimismo penetrante: gli uomini vorrebbero perdonare, ma non possono/non ci riescono. E allora qual è la soluzione? L'unica è quella di compatirsi (un passo in avanti rispetto al simpatizzare), lasciando che gli uomini trovino il loro debole percorso di vita. Ma nei confronti dello spettatore il regista come si pone? Il film non punta che a far simpatizzare lo spettatore alla vicenda dei fratelli e poi a quella del padre. Ma se la parola "simpatia" nel significato latino significa comunanza di stati d’animo con quelli provati da altri, allora non credo di aver provato simpatia per questi fratelli. È lo scopo del regista presentarmi una storia per cui devo condividere le motivazioni: le capisco, ma non le sento. Lui prova a farmi sentire i motivi della vendetta e della vendita disperata di organi dandomi un pugno nell'occhio con le torture, mi sconvolge ma non mi cattura. In Corea si usa fare così, io non riesco a condividere.
In sintesi, mai come questa volta è azzeccata la frase "lo vedo, ma non lo sento".
Spielberg e la sua Guerra
A cinque giorni dalla visione de La Guerra dei Mondi, dopo varie discussioni sul web e dal vivo ma anche sul cellulare, ho quasi perso di vista il film. Capita quando lo si smembra a tal punto da lasciarselo sfuggire e non riconoscerlo più per quello che è nel suo complesso.L'attesa per il film è stata spasmodica per poche persone, mentre la maggior parte si aspettava il "solito" film dal divertimento assicurato, ma condito in modo diverso e soddisfacente da Spielberg. Delusi proprio per non aver trovato tutto ciò.
Per me in questo film c'è una buona fetta del miglior Spielberg degli ultimi anni. Vedo che si è sforzato, con risultati positivi, nel raccontare una storia (apparentemente pessimistica) con alieni, genocidio e apocalisse che una volta tanto non ci vengono mostratiperchè parte intenzionalmente non inquadrata del film. La macchina da presa è fissa sulla famiglia: tutto il turbinio circostante di morte e disperazione fa da sfondo, perchè il discorso non è sulla sopravvivenza del pianeta, ma su quella del nucleo familiare in una situazione di minaccia non localizzabile. Questo è quello che io ho visto. Molti però si fanno domande sugli alieni, su quanto sia banale che siano stati sconfitti dai batteri... Non mi pare che il film voglia spiegare il come dell'attacco... Sulla scena finale (riunione della famiglia) c'è stata cmq unanimità nel ritenerla la peggiore sia di questo film, che degli ultimi dello stesso Spielberg (certamente più brutta dei tre finali, per me sopportabili, di A.I.).
Durante la visione mi chiedevo se avrei avuto voglia di rivederlo: risposta negativa.
Molto bello per alcune scene (tutta la parte iniziale, il piano sequenza circolare in macchina e l'assalto della folla: le stavo applaudendo), per un buon Tom Cruise (diverso, più bravo), per il sonoro potente, efficace e coinvolgente, per nulla roboante (visione consigliatissima nella miglior sala della città), per Spielberg che in fin dei conti con la macchina da presa ci sa fare, e se gli capita di sgarrare per alcune cose, possiamo chiudere un occhio... anche se non troppo. Bè, nonostatante questo non mi andrebbe di rivederlo, perchè ciò che resta è un discorso sull'uomo affrontato non con la dovuta attenzione.
Alla fin fine credo che Spielberg, per la fama e la bravura che lo circonda, debba saper proporre film più soddisfacenti: se vuole creare una storia sulla paura globale, la sopravvivenza, lo smarrimento post-moderno con un'attenzione alle minoranze etniche, sulla fuga e la truffa globale dei potenti, deve saper accantonare, per quel poco, la sua innata tendenza buonista e realizzare qualcosa di più incisivo. Preferirei vedere uno Spielberg più coraggioso nell'esprimere la propria opinione, più che fare la parte di chi sa solo avvertire il mondo dei pericoli da cui è minacciato.
Minority Report ci vuole far aprire gli occhi sul pericolo di intromissione dei governi e delle economie nelle nostre esistenze negandoci l'identità: ottimo film, più calibrato e convincete de La Guerra dei Mondi. Ma allora perchè non prosegue su quella strada, invece di proporre storie negli aereoporti o cmq in giro per il mondo (in cerca di qualcosa, di un padre...) che sono pur sempre buone ma che non sfondano come dovrebbero?
Africa
Molto più importante del cinema, molto più divertente di un casino di film.