
Da St. Quentin a Quentin Tarantino
Intervista da I Miserabili
"Tu sei ciò che ami, non ciò che ama te"
Uno sparo e il morto, gli undici anni d'età e tutte le periferie del Sud che fanno da sfondo. Nessuna denuncia sociale, solo la storia del viaggio di iniziazione alla criminalità di un qualsiasi ragazzino cresciuto in una delle periferie del Sud. In questo ed altri modi, i due registi-fratelli Fazzi, e prima di loro lo scrittore Diego De Silva che ha fornito il testo di cui il film è un adattamento, danno un senso universale alla maturazione sconcertante di quei bambini sui quali pesa una condizione esistenziale insostenibile, appartenente al mondo della sopravvivenza quotidiana.
La sottile linea rossa è ormai tra i capolavori. Il nuovo-molto- atteso film di Terrence Malick è The New World, che si ispira al racconto di Pocahontas e ha come interprete principale Colin Farrell. Si vedrà. Il trailer non ci mostra molto del film e forse è buon segno. Sul sito si può addirittura leggere un blog aggiornato e vedere 2-3 video, se non scaricare un file podcast.
Senza tanti giri di parole, A Scanner Darkly è da attesa spaspodica. Lo è sempre stato, da dickiano dipendente..
Da questo film non mi aspettavo nient'altro che la conferma dello stile di un regista da tenere d'occhio. Old Boy mi ha piacevolmente sorpreso, ma questo primo capitolo sulla vendetta coreana mi lascia con un certo amaro in bocca. Prima di tutto non possiede il ritmo del secondo capitolo. La lentezza delle immagini non è estenuante, non annoia come avrebbe potuto, costruisce invece una (sur)realtà arida di umanità e compassione, la comprensione della natura umana passa per qualcosa di viscerale. Non mi sembra che nei personaggi di Park si perda o si ottenga qualcosa: lui come Kim Ki-Duk sembra che stia lì a squamare un pesce (o qualsiasi altro animale) per poi rigettarlo nel mare. Si prende, si toglie e si restituisce. L'immagine presa di sana pianta da The Isle dell'altro coreano, credo sia essenziale per capire che tipo di cinematografia si ha di fronte vedendo questo e altri film dello stesso ceppo. Che poi ci siano delle differenze tra i due registi è ovvio, ma non mi va di dire a pensare nient'altro adesso.
La vendetta #1 si presenta inflessibile nella dose surrealistica di tagli, mutilazioni e asportazioni, ma si presenta anche in modo lento e tutt'altro che fredda (come invece vorrebbe essere servita in occidente). Il concetto di vendetta del titolo si carica di significati e valori che gli danno sfaccettature tutt'altro che banali. Di certo non possiamo considerarlo un sentimento nell'accezione positiva; è invece negativo perchè proviene da persone che non manifestano altre caratteristiche umane prevalenti. Nel film c'è un pessimismo penetrante: gli uomini vorrebbero perdonare, ma non possono/non ci riescono. E allora qual è la soluzione? L'unica è quella di compatirsi (un passo in avanti rispetto al simpatizzare), lasciando che gli uomini trovino il loro debole percorso di vita. Ma nei confronti dello spettatore il regista come si pone? Il film non punta che a far simpatizzare lo spettatore alla vicenda dei fratelli e poi a quella del padre. Ma se la parola "simpatia" nel significato latino significa comunanza di stati d’animo con quelli provati da altri, allora non credo di aver provato simpatia per questi fratelli. È lo scopo del regista presentarmi una storia per cui devo condividere le motivazioni: le capisco, ma non le sento. Lui prova a farmi sentire i motivi della vendetta e della vendita disperata di organi dandomi un pugno nell'occhio con le torture, mi sconvolge ma non mi cattura. In Corea si usa fare così, io non riesco a condividere.
tensione: campi lunghi e voci in primo piano sonoro, la ragazza mostrata sempre di spalle, alcuni inserti di lei da sola nella sua stanza/casa con un telefono davanti. Poi il corto circuito. La notte d'amore è tutta tagliata, anzi è un'incredibile sequenza tra l'incubo e la realtà, tra il passato da vendicare e il presente cruento e femminile. L'uomo che crede di poter scegliere l'amante attaverso un furbo e voyeristico provino, viene punito con aghi sotto agli occhi e amputazini degli arti. Pazzesco. Il film può apparire lento, ma è sapiente nello svolgere e misurare la tensione; accontenta i palati fini e spiazza chi crede di aver visto già tutto con i film occidentali (che so... Il silenzio degli innocenti o Seven). Davvero niente male anche l'uso della musica, anzi direi ottima. Ci sarebbe molto altro da dire, come ben sanno diversi cinebloggers con entrambi i piedi nel cinema orientale.L'attesa per il film è stata spasmodica per poche persone, mentre la maggior parte si aspettava il "solito" film dal divertimento assicurato, ma condito in modo diverso e soddisfacente da Spielberg. Delusi proprio per non aver trovato tutto ciò.
Per me in questo film c'è una buona fetta del miglior Spielberg degli ultimi anni. Vedo che si è sforzato, con risultati positivi, nel raccontare una storia (apparentemente pessimistica) con alieni, genocidio e apocalisse che una volta tanto non ci vengono mostratiperchè parte intenzionalmente non inquadrata del film. La macchina da presa è fissa sulla famiglia: tutto il turbinio circostante di morte e disperazione fa da sfondo, perchè il discorso non è sulla sopravvivenza del pianeta, ma su quella del nucleo familiare in una situazione di minaccia non localizzabile. Questo è quello che io ho visto. Molti però si fanno domande sugli alieni, su quanto sia banale che siano stati sconfitti dai batteri... Non mi pare che il film voglia spiegare il come dell'attacco... Sulla scena finale (riunione della famiglia) c'è stata cmq unanimità nel ritenerla la peggiore sia di questo film, che degli ultimi dello stesso Spielberg (certamente più brutta dei tre finali, per me sopportabili, di A.I.).
Durante la visione mi chiedevo se avrei avuto voglia di rivederlo: risposta negativa.
Molto bello per alcune scene (tutta la parte iniziale, il piano sequenza circolare in macchina e l'assalto della folla: le stavo applaudendo), per un buon Tom Cruise (diverso, più bravo), per il sonoro potente, efficace e coinvolgente, per nulla roboante (visione consigliatissima nella miglior sala della città), per Spielberg che in fin dei conti con la macchina da presa ci sa fare, e se gli capita di sgarrare per alcune cose, possiamo chiudere un occhio... anche se non troppo. Bè, nonostatante questo non mi andrebbe di rivederlo, perchè ciò che resta è un discorso sull'uomo affrontato non con la dovuta attenzione.
Alla fin fine credo che Spielberg, per la fama e la bravura che lo circonda, debba saper proporre film più soddisfacenti: se vuole creare una storia sulla paura globale, la sopravvivenza, lo smarrimento post-moderno con un'attenzione alle minoranze etniche, sulla fuga e la truffa globale dei potenti, deve saper accantonare, per quel poco, la sua innata tendenza buonista e realizzare qualcosa di più incisivo. Preferirei vedere uno Spielberg più coraggioso nell'esprimere la propria opinione, più che fare la parte di chi sa solo avvertire il mondo dei pericoli da cui è minacciato.
Minority Report ci vuole far aprire gli occhi sul pericolo di intromissione dei governi e delle economie nelle nostre esistenze negandoci l'identità: ottimo film, più calibrato e convincete de La Guerra dei Mondi. Ma allora perchè non prosegue su quella strada, invece di proporre storie negli aereoporti o cmq in giro per il mondo (in cerca di qualcosa, di un padre...) che sono pur sempre buone ma che non sfondano come dovrebbero?
Come riesce un tale regista a passeggiare sulle rovine fresche di bombardamenti di Berlino, con una storia d'amore tra un capitano dell'esercito e due donne? L'una era la cantante e amante di gerarchi nazisti, l'altra la piccola e detestabile onorevole moralista americana che appunta sul suo libretto tutti gli scandalosi incontri degli ufficiali statunitensi con le tedesche. Il film si muove grazie a questo personaggio interpretato da Jean Arthur: una prima parte la vede severa e scandalizzata di fronte al degrado morale degli ufficiali, poi piegata dal capitano John Pringle (John Lund) al romanticismo puro ma pieno di equivoci, infine scopre e comprende la reale situazione politica dietro il rapporto tra il capitano e la cantante Erika von Schlütow (Marlene Dietrich).
Dopo aver visto questo secondo film di Alex Infascelli resto nel dubbio se dargli ancora speranza nel diventare uno dei pochi registi di film di genere, o ritenerlo un autore già alla sua deriva.