videobrodaglia
22.9.05
  Good night, and good luck
Si fa presto a dire cosa non è questo film: non è bellissimo.

Viene selezionato per partecipare al concorso principale di Venezia62 e dopo la prima visione della stampa piovono i complimenti per tutto il lavoro attorno alla figura di Murrow.
Per fortuna il film è stato perfettamente pubblicizzato senza dare un peso eccessivo alla persona di Clooney, alla quale nessuno, pare, aver risparmiato gli elogi per aver confermato di saper abbinare la sua immagine ad una mente impegnata.

Saltando premesse e piccole considerazioni, che cmq mi trovano d'accordo, "Good night, and good luck" è un film che adempie perfettemante al suo compito, cioè mostrare il miglior giornalismo (che sia televisivo o no poco importa), e il miglior uso dello strumento-televisione.
In un epoca di usi decisamente impropri del mass medium per eccellenza, Clooney offre il proprio punto di vista con uno spirito diverso da quello di Moore, ma con la stessa intenzione di avvertire le coscienze. Ci riesce? Si, perchè quando si esce dalla sala (ma anche durante la visione) il confronto con la poca inchiesta nella tv italiana, ma soprattutto il confronto con lo stato del giornalismo in italia, è inevitabile e deprimente.
Per far questo il regista ci inserisce hic et nunc nei difficili meccanismi di programmazione di un settimanale ("See it now", guarda caso). Il film è il programma-televisione, è il giornalismo televisivo che usa il mezzo cinematografico per aplificare se stesso: e non stiamo parlando di un documentario, ma di qualcosa che gli assomiglia molto. L'atmosfera, è stato scritto ovunque, è quella di un telegiornale degli anni '50 che diventa prefettamente l'universo in cui avviene tutto. Così l'intera storia e tutti i personaggi, compreso il protagonista, assumono un aria di innaturalezza, sono fatti della stessa materia della televisione, sono l'anima del televisore, e per questo non sembrano affatto reali, ma sospesi in una densissima e statica rappresentazione del concetto di giornalismo televisivo molto orale, radiofonico.

Volti, gesti, dettagli vengono immortalati, scolpiti dallo sguardo ammirante di George Clooney che dimostra di aver capito la lezione del padre. Ci offre così una sua lezione molto ben costruita con attori di grande bravura, con una sceneggiatura compattissima, uno sguardo e un orecchio sensuale quasi ipnotico (quello del fumo della sigaretta, del jazz che riempie e rassicura con voce materna) e soprattutto con un ottimo uso dei reali filmati che riguardano i processi di e con McCarthy. Il gioco tra finzione e realtà è riuscito perchè tutto il film fa affidamento a questa costruzione sottilissima sempre più addentrante nel reale attraverso l'uso più appropriato degli strumenti del fittizio.
Però è proprio quest'atmosfera irreale, rigida, statica, morta, senza passioni che riescono davvero a spiccare e a sfondare, che non rende il film bellissimo, ma solo bello/sufficiente. Edward Murrow è senza respiro, eppure il suono della sua voce sopravvive alla sua immagine: di Clooney-persona è sorprendente proprio questo far risaltare il messaggio di Murrow più che il corpo-Murrow. Non a caso ciò che ha fatto è già compiuto quando il film inizia e finisce con il discorso di ringraziamento di qualche anno dopo. Nonostante tutto ciò l'estetica del programma televisivo non fa trionfare il film come dovrebbe, che invece resta in un equilibrio senza mai permettersi un'impennata che ce lo faccia ricordare per un momento esemplare.
 
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