La scenografia, in questo caso, rappresenta perfettamente la insistenza ossessiva dello stato d'animo del protagonista come anche dell' atmosfera enigmatica in cui è immerso l'interrogatorio: un commissariato decrepito e una pioggia diluviale che non smette di scendere nemmeno nelle sue stanze. Il film è una perla per la capacità di Tornatore nell'articolare una storia meditata e profonda sulla memoria e l'identità (ma anche sull'arte della letteratura che non ha autori..) senza mai uscire da una stanza di pochi metri quadrati: esso si svolge nelle classiche unità di tempo e spazio (ala Polanski prima maniera) che il regista reinventa continuamente con inquadrature sempre diverse e insolite (da dentro la macchina da scrivere o dall'acqua del gabinetto), e con un montaggio che tiene sempre in costante ed enigmatica vicinanza i due diversi volti che si incontrano e scontrano senza schiacciarsi. Entrambi i personaggi rivelano di sè quello che vogliono e possono creare e far credere nell'altro, in una dinamica che li costruisce come se l'uno fosse la tessera mancante dell'altro.