videobrodaglia
7.6.05
  Una pura formalità
Sottovalutato o solo perso-dimenticato-non recuperato, Una pura formalità di Giuseppe Tornatore merita molta più fama di quanta non ne abbia. Il film uscì nelle sale nell'anno tarantiniano 1994 lasciando gli spettatori poco convinti di quello che avevano visto: un plot che rimanda al thriller ma che lentamente si apre in un film ben più unico e anomalo, fino al finale sorprendente.
La storia è quella di uno scrittore, Onoff interpretato da un ottimo Depardieu, che viene sottoposto ad un duro interrogatorio kafkiano in una isolata postazione di polizia; il commissario, suo estimatore e profondo conoscitore della sua opera, lo costringe a confessare un omicidio compiuto poco prima della sua cattura, e del quale è sicuro di non esserne la causa. La soluzione del caso arriverà solo alla fine, come di norma, ma Tornatore è maggiormente intenzionato a narrare la desolazione e la sconfitta di un personaggio che ha perso tutto e che non riesce a ricordare l'evento più significativo della sua vita, quello per cui viene interrogato.

La scenografia, in questo caso, rappresenta perfettamente la insistenza ossessiva dello stato d'animo del protagonista come anche dell' atmosfera enigmatica in cui è immerso l'interrogatorio: un commissariato decrepito e una pioggia diluviale che non smette di scendere nemmeno nelle sue stanze. Il film è una perla per la capacità di Tornatore nell'articolare una storia meditata e profonda sulla memoria e l'identità (ma anche sull'arte della letteratura che non ha autori..) senza mai uscire da una stanza di pochi metri quadrati: esso si svolge nelle classiche unità di tempo e spazio (ala Polanski prima maniera) che il regista reinventa continuamente con inquadrature sempre diverse e insolite (da dentro la macchina da scrivere o dall'acqua del gabinetto), e con un montaggio che tiene sempre in costante ed enigmatica vicinanza i due diversi volti che si incontrano e scontrano senza schiacciarsi. Entrambi i personaggi rivelano di sè quello che vogliono e possono creare e far credere nell'altro, in una dinamica che li costruisce come se l'uno fosse la tessera mancante dell'altro.

In questa pellicola si amalgamo perfettamente una sceneggiatura insolita, solida e molto interessante, una scenografia, una regia e il montaggio tutt'altro che presuntuosi, una colonna sonora firmata da Morricone che segue in modo altrettanto perfetto lo sviluppo narrativo con una partitura atonale; ma c'è tanto altro come dellle interpretazioni memorabili. Mai un Depardieu tanto pieno ed esplosivo di sè, come anche un Polanski che riesce a misurarsi/trattenersi nella perfetta rappresentazione del commissario-carceriere-aguzzino di un'esistenza.
Sicuramente dopo la visione ci si stupisce di come "Una pura formalità" anticipi di anni una storia come quella de "Il sesto senso" o "The Others", precorrendo e superando per drammaticità, atmosfera e rivelazione finale. Perciò sembra strano che nessuno abbia saputo ancora riportarlo di nuovo all'attenzione.

In sintesi si potrebbe definire "Una pura formalità" un momento che si protrae all' infinito, un meccanismo che ripete se stesso perchè inceppato, ma è anche un dubbio, un vuoto, l'eterna confessione che mira al disvelamento di se stessa. Un film metafisico.
Ma tutto forse è sintetizzabile in due parole: una grande menzogna e la grande verità.
 
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