videobrodaglia
5.5.05
  Cul de sac
Terzo lungometraggio di Roman Polanski datato 1966, "Cul de sac" (curioso titolo) riprende la stessa struttura de "Il coltello nell'acqua": unità aristoteliche di spazio e tempo e tre personaggi isolati in un castello costretti dagli eventi a tirar fuori il meglio e il peggio di sè.
La pellicola è fortemente ironica, ad iniziare dalla prima sequenza. Su una lunghissima strada deserta, di cui si avverte il vento incessante (non abbandonerà mai il film), vediamo avvicinarsi lentamente una macchina con due rapinatori: un tizio col braccio fasciato spinge l'auto e un altro, ferito, non riesce a controllare il volante. Lunga strada dritta, assenza di suoni, una rigorosa e meravigliosa fotografia in bianco e nero e due tipi abbastanza loschi ma con un curioso senso dell'umorismo, colpiscono subito. L'uomo col braccio fasciato cerca un telefono da qualche parte seguendo i pali della luce, troverà un castello e due buffi coniugi che riuscirà a piegare alle sue volontà senza grandi sforzi. Dimenticavo: il castello e i tre personaggi (il tipo in macchina morirà) resteranno isolati dall'alta marea che circonda la piccola collina.
Cul de sac (= vicolo cieco) è una storia dai tempi dilatati realisticamente assurda, folle quasi allucinata. Gli attori sono abbastanza bravi, riescono a dar vita a personaggi molto buffi, ma il film non regge i tempi troppo lenti. Umorismo, fotografia, campi lunghi e una buona sceneggiatura, in compenso, si salvano.

Un'analisi oltre le prime impressioni:
La repulsione e il fascino dell'ambiente quotidiano, l'impossibilità di fuggire e la nevrosi soffocante indotta da questa contraddizione, il disfacimento della vita nel continuo protrarsi e acuirsi di questa nevrosi, impregnano anche Cul de Sac (1966), altra ripresa del triangolo amoroso, ma questa volta nell'ottica di un humour nero molto britannico. L'elemento di disturbo del triangolo è questa volta un personaggio comico che, come il giullare del "Re Lear", funge da coscienza del castellano, smascherando la sua angoscia e la sua solitudine, evidentemente acuiti dalla perdita della moglie e vanamente lenite dall'assunzione di un'amante. In quell'isola l'uomo si rende conto della meschinità di tutti coloro che gli stanno attorno, egoisti, crudeli e ingrati (per repulsione dei quali si è d'altronde segregato nel castello).
 
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