Million dollar babyFrank è un uomo che vuole gettare la spugna nel momento in cui le probabilità di farsi male sembrano più alte di quelle di vittoria; un uomo che non si arrende, nè scappa, ma ha imparato dalla vita a non rinunciare ad essa per i mezzi e i modi attraverso cui ottenerla. Se decidi di raccontare una storia di boxe, essa non può che trascendere verso i motivi di riscatto sociale e verso la metafora della vita, motivi di cui Clint Eastwood tiene conto e che, a sua volta, riesce a farne un luogo di profonda riflessione morale. La figura del pugile è forse sempre stata, tra i film nel mondo dello sport, quella più delicata da trattare, forse perchè l'individuo che lotta per se stesso e altri in uno spazio ben delimitato come il ring ci fa assaggiare meglio di ogni altro la concretezza del vivere difficile senza spazio per eroismi di alcun tipo. Certo la materia da modellare non è grezza, di film ce ne sono e ce ne saranno ancora, però il vecchio Clint fa finta che nulla sia mai stato narrato sulla boxe e parla a noi spettatori come a un parente che non vede da molto tempo ma a cui è sempre affettivamente vicino, iniziando dalle basi, dalle sue regole fondamentali di rispetto, di distanze vitali, di quantità e di pesi distribuiti da un corpo ad un altro. Quello di Maggie Fitzgerald è un corpo ormai maturo e ormai poco adatto all'allenamento, eppure la sua volontà di combattere è la sua parte ancora grezza che necessita di qualcuno che le dia forma ed espressione. Il talento non manca alla donna, ma ciò di cui ha bisogno è la comprensione, anche paterna, delle sue difficoltà, dello sforzo per costruire la propria vita. I tre personaggi, ognuno in modo diverso, sono storie di vite interrotte sul loro finire, all'apice del loro compimento, vite che non si reggono da sole, che hanno bisogno dell'umanità (nel senso più vasto e più stretto del termine) del prossimo, un' umanità che che redime dalle colpe. Quelli di Clint Eastwood sono personaggi che camminano lungo il loro oscuro destino e si incontrano (ri)scoprendo il senso o l'occasione della propria vita. Non destini che si incrociano, ma destini che si compenetrano. Il maggior pregio di questo film è quello di aver messo in scena gli uomini e la loro più alta essenza senza cedere in alcun modo (ed è difficilissimo) a rappresentazioni marcatamente drammatiche, raccontando tutta la storia immerso in una tranquillità e sicurezza espressiva senza paragoni.
Il sistema a tre personaggi funziona anche questa volta. Morgan Freeman, voce e spirito della palestra, copre un ruolo mistico, come quel fiume che unì e divise i tre bambini in Mystic River, ma non così perfetto da meritare l'oscar; Clint Eastwood davanti alla macchina da presa da forza a un personaggio robusto e sensibile alla vita, ma dietro sa mostrarsi migliore; Hilary Swank è umile e determinata come il suo personaggio, lo sforzo vale l'oscar. Senza musica, solo un lieve e impercettibile accenno di chitarra, questa storia è potente perchè si fonda anche su dialoghi che odorano di concreta saggezza. L'Academy onora il merito di Eastwood e non la persona di Scorsese, fortunatamente e giustamente.