videobrodaglia
16.3.05
  Insomnia
Le aspettative per questo terzo film di Christopher Nolan, dopo l'originale Memento e l'interessante Following, erano abbastanza alte, tenendo anche conto dell'ingaggio di Al Pacino e della seconda prova da antagonista di Robin Williams.
Prendere una pellicola norvegese del 1997 e rifarla quasi inquadratura per inquadratura non è una grande sfida per un regista che aveva promesso qualcosa di nuovo nel genere thriller. Non tutto gioca a suo favore, però bisogna ammettere che i presupposti per un film interessante c'erano e, se Nolan avesse saputo caratterizzare meglio i personaggi (eppure alcune frasi non sono male) e drammatizzare meglio, sarebbe potuto uscire un ottimo film. Invece siamo di fronte ad una pellicola che non sottolinea benissimo l'abbandono sensoriale del protagonista e non crea un buon coinvolgimento nello scontro tra il detective e l'assassino. Quest'ultima mancanza sarà forse anche da imputare al poco affiatamento tra Pacino e Williams, una coppia molto strana, due attori decisamente diversi (ma è meglio ritornarci dopo).

Per una giovane polizziotta dell'Alaska, il detective di città è una piccola celebrità nel settore: la sua naturale predisposizione nel muoversi nelle indagini e nel cogliere i minimi dettagli di un corpo ormai morto, verrà questa volta messa in discussione fino a crollare. Preoccuparsi dei dettagli e non accorgersi dell'evidente fenomeno del sole che non tramonta, sarà il primo e unico errore che costerà caro al detective. A sconfiggerlo è sia l'ambiente sempre luminoso che lo espone da subito ai suoi limiti sensoriali e fisici, che la fiducia che ripone nelle sue capacità di controllo di ogni sua azione. Il detective si accorgerà di non essere infallibile e che non gli sarà più possibile nascondere i suoi errori. Anche Nolan si occupa di dettagli: quello iniziale delle mani è ormai una sua firma.

L'abbagliante e insolita scenografia naturale è tutto il film. L'Alaska sembra un'immenso Overlook Hotel dove la realtà non diviene allucinazione e viceversa, ma dove il corpo umano è messo sotto sforzo. Gli occhi del protagonista vorrebbero chiudersi e commettono l'errore di non saper più distinguere. La percezione viene provata e annientata. Ecco che si ritorna ai motivi alla base del film come anche a quelli di Memento: l'allontanamento delle facoltà percettive dal sè, il non riconoscersi più nell'affidabilità dei propri gesti e movimenti, il diluirsi e il crollare dell'edificio dell'identità.
Lo scrittore assassino interpretato da Williams approfitta dei limiti sensoriali di quest'uomo fuori dal suo normale contesto. Egli vorrebbe convincersi e convincere il detective che l'uccisione sia solo stato un incidente e a sua volta il detective vuole nascondere l'omicidio del suo collega per non incappare in spiegazioni difficili e per non portare a galla vecchie procedure investigative illegali. Entrambi e in modo diverso sembrano voler nascondere la loro fragilità: ed è lo stesso Williams che affermerà che la fragilità umana è un grande tabù che non siamo disposti ad accettare. Basta perdere contatto con la realtà, non saperla e poterla controllare più, per incappare in uno scatto di irrazionalità o sparare alla cieca un proiettile, ed entrambi sono effetti di volontà sopite e inconfessabili. L'ambiguità della nebbia, la sua opacità e la luce senza fine, sono gli elementi che porteranno alla confessione del crimine e dei crimini. Il detective è alla resa dei conti con se stesso e quella luce sempre presente sembra la lampada che i polizziotti rivolgono con insistenza negli occhi del criminale quando devono interrogarlo. La morte è forse quell'atto che sapeva di meritare ma che voleva evitare e nascondere. L'Alaska come luogo da cui fuggire o verso cui fuggire, cmq un posto dove negare la propria identità e restare estranei alla normalità, in un certo senso è anche un ultimo avanposto per decisioni giuste e definitive.



Nel complesso potrei considerarlo un film neutro: nessun accento particolare, nessun lavoro realmente drammatico su un solo elemento del film, forse solo sulla fotografia...
Il montaggio di
Dody Dorn (che ha già lavorato per Memento e il curioso e quasi sperimentale Guy) non osa più di qualche stacco veloce delle inquadrature in alcune scene e nei flash della memoria. Per fortuna Nolan non esagera con i dettagli.
Al Pacino non sembra del tutto convinto di quello che fa. Come ho scritto prima, i personaggi non sono caratterizzati benissimo. Per un attore come Pacino ci si aspetterebbe maggior attenzione; lui vorrebbe anche mettercela tutta, ma non basta corrugare la fronte e socchiudere gli occhi per fare un mezzo sonnanbulo. Nolan non ci dà l'opportunità di identificarci pienamente nel detective, di più nel paesaggio. Bella la fotografia di
Wally Pfister (ormai coppia fissa col regista), vien voglia di salire in Alaska per ammirare quella natura sempre sveglia. Williams pare convincere di più che in One hour photo perchè gioca su se stesso, costruendo il personaggio (l'unico davvero memorabile del film proprio per questo motivo) sulla sua celebre simpatia: sarà anche il cattivo della storia ma rimane sempre una persona affabile. Dopo il secondo oscar Hilary Swank anche qui la si guarda con un occhio diverso.

"Lasciami dormire" - Dormer (Al Pacino)
 
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