videobrodaglia
16.1.05
  L'ultimo samurai
ovvero: il Giappone nella versione soft raccontata dagli americani.
Tom Cruise ha partecipato attivamente allo sterminio dei pellerossa e adesso vive con spettacoli per un'azienda di fucili. Gli orrori della guerra lo perseguitano e così accetta di trasferirsi in Giappone per addestrare il nascente esercito per l'attacco ai samurai. Il personaggio all'inizio è l'antitesi di quello interpretato in "Nato il 4 Luglio", dove il protagonista, forte del suo coraggio acquisito in Vietnam, cercava di far valere il diritto dei reduci a non essere dimenticati. Tom Cruise in questi due film rappresenta e denuncia (qui di meno) il senso che l'America ha della guerra e il senso della sua missione democratico-espansionistica.


Non vorrei ripercorrere troppo la recensione di De Bernardinis su SegnoCinema #126, ma se si vede questa pellicola dal punto di vista ideologico, non posso non farne cenno. Il critico afferma che il film incarna l'anima dell'America, un Paese senza storia che si impegna a intervenire in quella di altri popoli per avviarla sul cammino del cambiamento (democrazia). Fin qui ci siamo. Il protagonista (un simil Lawrence d'Arabia) inizialmente indifferente alla cultura dei samurai, ne apprende i segreti e il profondo significato della tradizione; allo stesso tempo mette in luce la distruzione di una modernità troppo schiacciante e troppo veloce. C'è uno scontro di valori che non prevede una convivenza o almeno un reciproco avvicinamento dei due: Tom Cruise, sintesi e consapevolezza distaccata, riuscirà ad avvicinarle. Tradizione, modernità, cambiamento.

Oltre questo messaggio simil-ideologico il film però contrappone i due valori con una tale semplicità da risultare stilizzato. Ci sono i resistenti samurai, il virus americano e i corrotti giapponesi, tutto molto limpido. "L'ultimo samurai" non è "L'ultimo dei Mohicani", ma nemmeno un grande film sulla katana. Il suo valore viene annacquato per chi di cultura orientale ne sente parlare superficialmente: si iniettano nello spettatore sintesi estreme di filosofia guerriera e lo si avvicina a quel mondo, in questo caso efficacemente, in alcuni casi senza il filtro del doppiaggio.
Il film apprende i canoni del genere epico ma non li sostanzia in modo che se ne senta davvero il carico emotivo delle grandi storie. Metà della pellicola è dominata dalla presenza di Tom Cruise mai così narcisista nei suoi film recenti (più fastidioso che in M:I2): sarà forse che ne è anche produttore, anzi regista indiretto. Sarà anche diventato più bravo da Eyes Wide Shut a seguire, ma le sue possibilità espressive restano limitate, e non basta far crescere i capelli per creare un grande guerriero, pur sempre con la faccia troppo pulita. Non solo Tom Cruise, anche l'attore Wntanabe, di cui si è tanto decantata l'interpretazione, in fin dei conti non offre grandissime emozioni: il suo volto è troppo occidentale, e non solo.
Le scene di guerra non hanno pathos: viene mostrato troppo del campo di battaglia, non è uno scontro sporco nè con urla di coraggio (non è Braveheart, ma almeno tentare di avvicinarsi!). Inoltre i soldati dell'esercito giapponese sono troppo ridicoli per sembrare valorosi, troppa paura nei loro occhi insomma. Ma l'aspetto più ridicolo è che i samurai vanno a difendere la loro sopravvivenza e fedeltà al passato, e pare che l'ultimo arrivato sia più importante di tutti coloro che andranno a morire armati di una sola spada contro molti proiettili. Assurdo.
La cultura giapponese purtroppo viene americanizzata in ogni sequenza, anche quella del pranzo che non differisce affatto da una ambientata in America: ci manca solo che il bambino scappi dalla tavola per andare a vedere la tv! Del Giappone c'è solo l'ambientazione, il resto, dalla costruzione dei personaggi al procedere narrativo, non differisce affatto da uno realizzato dalle nostre parti. La fotografia potrebbe essere tra gli elementi che più si salvano, perchè non pretenziosa e non sciatta, ma anch'essa non fa il minimo sforzo per andare oltre i molti controluce e tonalità da new age all'interno delle abitazioni. La musica di Hans Zimmer vuole prendere spunto da quella de "Il Gladiatore" (da cui il compositore, sono sicuro, non si allontanerà mai) ma finisce per farci preferire il silenzio al suo commento musicale.

La virtù del samurai, l'uso della katana, il destino, i rituali che tendono alla perfezione dei gesti, tutto viene diluito per essere conosciuto dallo spettatore vuoto, o quasi, di ogni conoscenza sull'Oriente. In una parola: ambientazione esotica, motivo principale per cui "L'ultimo samurai" ha riscosso tanto successo. A suo favore però c'è da sottolineare che risulta coeso, mai veramente noioso, un buon prodotto soprattuto perchè riesce a raccontare una tale storia velocemente e senza sbavare. Però si sa che i prodotti americani al minimo sanno essere perfetti solo per questo aspetto. Il film è stato pensato per far soldi, ovvio, ma a me questo non interessa.

 
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