Il prezzo della libertà"Siamo tutti delle puttane", "non venderemo mai la nostra arte, nè le nostre idee!"
Il film può essere facilmente compreso anche da un bambino perchè costruito tutto sulla facile opposizione fascismo-comunismo nell'America degli anni '30: c'è chi vende e compra l'arte e chi la rappresenta senza prezzo, per strada, tra le poltrone di un teatro perchè lo spettacolo è stato censurato. L'ambientazione è magnifica, sembra il '68 degli americani, una pre-rivoluzione (che non avverrà mai) che si svolge tutta nei luoghi chiusi, ma ferventi di entusiasmo artistico, del teatro, del Rockefeller Center, delle case in mogano dei capitalisti: Scenografia, costumi, musica, tutto rende molto bene una certa atmosfera dell'epoca. La regia di Tim Robbins, che firma anche la sceneggiatura (il fratello, è tutto fatto in casa, è alle musiche), è esplicitamente teatrale e si avvale di numerosi piano sequenza di cui il più lungo, abbastanza bello, è quello iniziale che ci presenta tutti i personaggi. Il piano sequenza e montaggio sono metafora delle due ideologie: il primo è usato per mostrare le prove dello spettacolo "comunista" e le piccole storie dei suoi attori; il montaggio invece è destinato alle scene dei capitalisti-puttane. Più semplice di così si muore. La storia, l'allestimento della piece "Craddle will rock", è chiaramente un pretesto per Tim Robbins per poter lanciare una denuncia politico-sociale all'America dei nostri giorni (e il piano finale dove lo mettiamo?) e per riuscire nell'intento chiama a raccolta tutti gli attori che gli sono politicamente vicini sfondando quasi lo schermo con la realtà: dalla moglie a Bill Murray (e Jack Black!), ai fratelli Cusak. È politico però leggero, fluido e mai noioso. Qualche difettuccio per esempio nei dialoghi sempliciotti (troppo farciti di paroloni come "fascismo", "comunismo", "Lenin", "Sono Orson Welles", "censura", etc...) e nella scelta dell'attore che interpreta Orson Welles (scritturato probabilmente per il suo bravo gioco di sopracciglia) troppo gigioneggiante e caricaturale, ma del resto più fedele non si può fare (da confrontare con l'attore di RKO 281).
Simpatico film di scenografia. Sconsigliato a chi non vuol vedere l'arte "invischiata" di ideologia (comunista).Per un Robbins più impegnato meglio dare una visione di Embedded/Live, documentario presentato a Venezia61 nella rassegna Venezia Cinema Digitale-Eventi.
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