videobrodaglia
13.9.04
  Mar Adentro
L'ultima edizione della Mostra di Venezia si è chiusa senza alcun importante riconoscimento ad un film italiano nella fattispecie quello di Gianni Amelio, lasciando così esterrefatti tutti i critici che ne avevano sottolineato con forza il valore artistico nonchè interpretativo. Tra le varie pellicole papabili del Leone d'Oro c'era anche l'ultimo film di Alejandro Amenàbar, "Mar adentro", che ha ricevuto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, consegnata a Javier Bardem, e il Premio per la miglior regia. Se il film vincitore del Leone d'Oro, "Vera Drake", tratta la difficile questione dell'aborto, "Mar adentro" ne affronta un'altra altrettanto scottante: l'eutanasia. Un film dunque importante e difficile, un discorso portato avanti dal regista senza alcuna esitazione, con grande sicurezza. Amenàbar non è nuovo nell'affrontare la tematica di una condizione sospesa tra la vita e la morte; in questo caso però lo spunto narrativo è dato dalla storia reale di un uomo, tetraplegico condannato al letto da 26 anni, che desidera e fa di tutto per ottenere un riconoscimento giuridico alla sua volontà di morire. Così grazie ad un caso limite il regista ci parla della vita, del suo significato ultimo, della libertà che ogni uomo deve avere per poter decidere di se stesso. Per chi circonda il protagonista, egli potrebbe essere un esempio forte di vita o di irrazionalità, ma anche una fonte di responsabilità come anche un individuo su cui caricare le proprie frustrazioni. Ramon però non desidera tutto ciò: prosegue lungo il suo sogno, un ritorno al punto di rottura (anche in senso letterale) della sua vita, quel tuffo distratto e fatale. Il titolo fa così riferimento alla proiezione immaginifica del protagonista in quell'oceano di libertà senza il peso verso il "fondo" che lo condanna all'immobilità. Attraverso gli occhi, il corpo e infine lo spirito, il mare penetra in Ramon donandogli finalmente la pura felicità, non più il sorriso triste. Condividere e comprendere la decisione di morire prescinde da ogni tipo di spiegazione logica, così come l'amore. Il film calca sull'impossibilità del giudizio altrui ad una tale condizione, offrendo una certa neutralità allo spettatore. Comprendere per il regista equivale a far identificare lo spettatore con il personaggio dell'avvocata: ella si avvicinerà molto alla condizione del suo assistito quando la sua malattia degenerativa la condannerà alla paralisi della gambe. Amenàbar non si esime dall'esprimere un'opinione negativa nei confronti di una normazione giuridica non adeguata a far fronte a casi di eutanasia; è sconcertante constatare come un'individuo sia in questo modo costretto a darsi la morte in modo illegale e facendo attenzione a non coinvolgere altre persone nel concretizzare la propria decisione. Il senso di morte pervade tutta la pellicola. Essa ci appare attraverso la particolare vicenda di eutanasia, come la più naturale delle caratteristiche umane. La morte va dunque accettata per quella che è, anche se nel corso della vita cerchiamo di frapporre ad essa pensieri felici. Ciò che insegna il personaggio di Ramon è così l'accettazione gioiosa della morte, quel nulla da cui abbiamo origine e che cerchiamo di colmare grazie all'immaginazione.
Dalla sala si esce con un vero senso di partecipazione: commossa o meno, sarà la storia di ognuno a determinarlo. Alejandro Amenàbar è un regista che già ci ha parlato della morte, ma in modi del tutto diversi. Basti pensare al penultimo film "The Others" con Nicole Kidman, dove una madre e i suoi due figli non riescono ad accettare la terribile verità che essi siano già morti; oppure il precedente e riutilizzato "Apri gli occhi" in cui Amenàbar sfrutta l'espediente della morte fredda (criogenica) per mostrarci il desiderio di un giovane yankie di poter vivere oltre la malattia, oltre la morte del corpo. Con un maggiore sforzo mnemonico e analitico possiamo ritrovare tracce di questa tematica anche nel primo film "Thesis": qui abbiamo però un'estremizzazione in un simil omaggio agli snuff movies. Nel gioco dei rimandi tra le varie pellicole, cercando di trovare un filo "discorsivo", è curioso notare come l'inizio di "Mar adentro" possa rimandare al finale, o meglio all'ultimo fotogramma, di "Apri gli occhi" dove una voce femminile nel futuro imprecisato del corpo del protagonista, lo accoglie invitandolo appunto ad aprire gli occhi sulla realtà; in "Mar adentro" sempre una voce femminile insegna al protagonista come aprire gli occhi verso lo spirito oltre la corporeità.
 
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A distanza di tempo e dopo aver rivisto più volte il trailer non capisco come non sia riuscito ad annoiarmi. Alcune opinioni vanni riviste...
 
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